venerdì 7 settembre 2007

Terminal Asia (fu Cina)

Fortunatamente il peso del Comune di Civitavecchia nell’eventuale decisione criminale di realizzare il Terminal-Asia (fu Cina) è marginale, o così dovrebbe essere, a meno che, come i ripetuti spocchiosi interventi in materia portuale lascerebbero supporre, il Sindaco Moscherini non pensi di poter ancora disporre a suo piacimento del Comitato Portuale.

Da parte di una maggioranza più o meno consapevole, di sé e dell’oggetto specifico, si parla con frequenza ossessiva di un progetto che finora esiste ufficialmente soltanto nelle patinatissime riviste distribuite a fine disgustosamente propagandistico dall’Autorità Portuale targata Moscherini.

Si tratta di qualcosa di mostruoso: una cassa di colmata di 3.000.000 di m3 che darebbe vita ad una banchina lunga ca. 1 Km e 700 m e larga tra i 400 e i 600 m, per una superficie di 1.000.000 di m2. In mare aperto un nuovo antemurale di ca. 2 Km, alle spalle una bretella stradale di 5 Km e un tronco ferroviario di 1 Km e 600 m. Il tutto collocato immediatamente a nord di Torre Valdaliga (con Enel e Moscherini genitori della turpe idea della cassa di colmata), fino a occupare per qualche centinaio di metri la costa prospiciente al primo tratto superstite della pineta de La Frasca che, aggredita via mare dal traffico di navi gigantesche, via terra da bretelle stradali e rotaie, finirebbe per sparire definitivamente, risucchiata in pieno ambito portuale e trasformata, per giunta in parte e a tempo determinato, in un patetico campeggio artificiale, adagiato sul ridente accesso nord di un porto dall’impatto devastante e preceduto da cinema multisala, discoteche e opere varie di urbanizzazione.

Un inciso a parte merita il tristissimo destino riservato ai fondali. Il presidente-commissario-sindaco Moscherini tenta di vendere come una fortuna quella che sarebbe un’inestimabile tragedia, ovvero la possibilità di scavare i fondali fino a 20 m di profondità e oltre. La vera fortuna è avere avuto in dono dalla natura un sistema marino come quello antistante La Frasca, peraltro già tragicamente stuprato per la costruzione del molo carbonifero di TVN nonostante sia stato individuato come sito di interesse comunitario per la tutela dell’habitat prioritario costituito dalle praterie di Posidonia Oceanica, oltre ad essere disseminato di testimonianze archeologiche. Ma è una fortuna nemmeno lontanamente percepita da chi è abituato ad amministrare, nelle migliore delle ipotesi, con le viscere, ricattando una cittadinanza sempre più affamata di diritti fondamentali, quali il lavoro, degradati al ruolo di elemosina o, addirittura, di miracolo.

In ogni caso, l’immane scempio sopra descritto è subordinato a scelte strategiche di carattere nazionale e internazionale, nonché ad una serie di approvazioni, dal Comitato Portuale, al Consiglio Comunale, alla Valutazione di Impatto Ambientale, per un iter, fortunatamente del tutto ipotetico, che, memori dei recenti e ripetuti black-out cerebrali e di coscienza, tutte le persone di buon senso dovrebbero augurarsi non avere mai inizio.
Tentare di prepararsi il terreno parlando di centinaia o, nel caso dei più inverecondi, di migliaia di posti di lavoro, significa contemporaneamente vendere fumo e fare terrorismo psicologico, atteggiamento esecrabile sotto ogni punto di vista.

È necessario difendere il tratto di costa a nord delle centrali dagli appetiti, presenti e futuri, locali e non, di chi ancora una volta è disposto a pagare debiti contratti a favore di pochi rompendo il salvadanaio dei nostri figli e dei nostri nipoti. In tal senso, non molte sono le strade percorribili. Solo un deciso rafforzamento dei vincoli sull’area in questione può sottrarla all’espansione del porto e ai caricaturali progetti di sviluppo di una città che si vorrebbe perennemente colonia. L’istituzione di un’area protetta consentirebbe, altresì, l’uscita dall’attuale imbarazzante situazione di degrado (che talvolta somiglia al preludio dell’incendio che “risolverebbe il problema”), oltre a garantire interessanti risvolti occupazionali, certo non paragonabili a quelli prospettati dai falsi profeti dello sviluppo neoplastico, ma sicuramente frutto delle potenzialità del territorio e del rispetto dello stesso.

L’alternativa è rassegnarsi alla più o meno rapida sparizione de La Frasca e del patrimonio naturalistico, paesaggistico, storico, culturale e sentimentale che rappresenta.

Nessun commento: